Indagine parlamentare sui Parchi nazionali

CAMERA DEI DEPUTATI
VIII Commissione permanente
(Ambiente, territorio e lavori pubblici)

INDAGINE CONOSCITIVA SUL SISTEMA DI GESTIONE AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI PARCO NAZIONALI. - DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO DALLA COMMISSIONE

1. Premessa.
L'Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, della VIII Commissione, nella riunione del 20 giugno 2002, ha concordato sull'opportunità di svolgere un'indagine conoscitiva sul sistema di gestione amministrativa degli Enti parco nazionali, sulla quale è stata acquisita, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del regolamento, l'intesa con il Presidente della Camera.
L'indagine conoscitiva è stata quindi deliberata dalla Commissione nella seduta del 26 giugno 2002 ed è stato fissato al 31 maggio 2003 il termine per la sua conclusione. Tale termine è stato quindi prorogato, una prima volta, al 31 luglio 2003 (unitamente ad un'integrazione del programma) ed è stato, di seguito, ulteriormente prorogato al 31 ottobre 2003.
Nelle intenzioni della Commissione, le finalità dell'indagine consistevano sostanzialmente nel verificare le reali prospettive di crescita degli Enti parco nazionali, in modo da rendere il sistema dei parchi più qualificato dal punto di vista gestionale. È infatti indubbio che, durante la prima fase di attuazione della nuova normativa sui parchi, si è assistito ad un significativo fenomeno di proliferazione di problemi burocratici ed amministrativi, che si è spesso accompagnato ad una difficoltà, piuttosto generalizzata tra gli Enti parco nazionali, nell'utilizzare tempestivamente le risorse d'investimento disponibili. Poiché tale difficoltà potrebbe far andare perduta (o quanto meno ritardata) l'occasione per sostenere lo sviluppo economico delle popolazioni che insistono sulle aree interessate dai parchi (la cui convinta adesione agli obiettivi di difesa naturalistica e ambientale degli Enti parco è necessaria per garantire successo alla loro missione), l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, della VIII Commissione ha convenuto sull'opportunità di svolgere un'indagine conoscitiva per approfondire tali aspetti e per valutare le problematiche connesse al sistema di gestione degli Enti parco nazionali.
Al riguardo, la stessa Commissione ha infatti rilevato che, nel corso dell'esame svolto nella presente legislatura in merito agli schemi di decreto per il riparto, da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, dei contributi ad enti e ad altri organismi, è emersa in misura evidente la necessità che gli Enti parco siano in grado di dotarsi di un più efficace meccanismo di gestione delle proprie strutture economiche, amministrative e logistiche, al fine di utilizzare tutte le risorse che vengono loro destinate da parte dello Stato. Infatti, quanto meno dai dati consuntivi riferiti al bilancio di tali enti per gli anni 2000, 2001 e 2002, risulta una palese difficoltà a sviluppare una capacità di spesa delle risorse esistenti. La sussistenza di significative giacenze di cassa, dunque, appare il sintomo di una tendenziale inadeguatezza dei metodi di gestione amministrativa degli enti parco, che, per un verso, sembrerebbe poter essere imputata ad eccessi di rigidità burocratica e, per altro verso, appare chiaramente legata all'esistenza di un cumulo di spese fisse (e di personale) talmente consolidato, da lasciare poco spazio agli investimenti ed allo sviluppo di interventi in conto capitale. E ciò, a prescindere dalle diverse date di istituzione e di entrata in funzione dei vari Enti parco, che per quelli di più recente istituzione ha indubbiamente creato problemi di avvio e di rodaggio, non certo presenti negli Enti di più vecchia data istitutiva e, quindi, di più consolidata gestione.
In questo contesto generale, si inserisce inoltre la questione del riparto delle competenze amministrative riconosciute a regioni ed enti locali, il cui territorio è compreso all'interno delle aree dei parchi. Al riguardo, infatti, va rilevato che esiste un problema di coordinamento delle funzioni amministrative dei diversi enti territoriali e che la stessa ridefinizione del ruolo delle regioni, derivante dal nuovo Titolo V della Costituzione, crea non pochi problemi di collegamento tra diversi soggetti decisori.
Tenuto conto di tali finalità, la Commissione ha ritenuto quanto mai necessario ed urgente individuare, mediante lo strumento dell'indagine conoscitiva ai sensi dell'articolo 144 del regolamento, i principali problemi esistenti, prospettando eventualmente le strategie e le ipotesi operative adeguate al fine di consentire l'effettivo miglioramento dei sistemi di gestione economica ed amministrativa degli Enti parco nazionali.
L'indagine si è concretamente avviata il 2 ottobre 2002, con l'audizione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, Altero Matteoli; l'indagine è quindi proseguita il 23 ottobre 2002 con l'audizione del Ministro per gli Affari regionali, Enrico La Loggia.
Si sono poi svolte le audizioni di rappresentanti dei seguenti enti ed organismi: rappresentanti del Corpo forestale dello Stato, nella seduta del 29 ottobre 2002; rappresentanti della Federazione italiana dei parchi e delle riserve naturali, nella seduta del 30 ottobre 2002; rappresentanti dell'ANCI, dell'UPI e dell'UNCEM, nella seduta del 6 novembre 2002; rappresentanti della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome, nella seduta del 7 novembre 2002.
Il 27 novembre 2002 ha quindi avuto luogo l'audizione di rappresentanti di centri di ricerca specializzati nell'organizzazione gestionale in campo ambientale. L'audizione di rappresentanti di associazioni ambientaliste (Ambiente e/è vita, Amici della Terra, Italia Nostra, Legambiente, Movimento Azzurro e WWF) è stata svolta il 12 febbraio 2003, mentre nella seduta del 2 aprile 2003 ha avuto luogo l'audizione del Direttore generale della direzione per la conservazione della natura del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, Aldo Cosentino.
Il ciclo di audizioni si è infine concluso con l'audizione di rappresentanti del Coordinamento delle comunità dei parchi nazionali (6 maggio 2003) e con l'audizione di rappresentanti dell'Associazione italiana direttori aree protette (AIDAP), nella seduta dell'11 giugno 2003.
Delegazioni della VIII Commissione hanno inoltre effettuato i seguenti sopralluoghi:
missione di studio presso l'Ente parco nazionale delle Cinque Terre di una delegazione della Commissione composta dai deputati Armani, Mondello, Pappaterra, Parolo, Piglionica (dal 12 al 13 dicembre 2002);
missione di studio presso gli Enti parco nazionali della Majella e del Gran Sasso e Monti della Laga di una delegazione della Commissione composta dai deputati Armani, Parolo e Reduzzi (dal 10 all'11 aprile 2003);
missione di studio presso l'Ente parco nazionale del Pollino di una delegazione della Commissione composta dai deputati Armani, Foti, Pappaterra, Parolo e Vigni (dal 14 al 16 maggio 2003);
missione di studio presso l'Ente parco nazionale dello Stelvio di una delegazione della Commissione composta dai deputati Armani, Lupi, Pappaterra, Parolo e Piglionica (dal 25 al 27 giugno 2003);
missione di studio presso l'Ente parco nazionale del Gran Paradiso di una delegazione della Commissione composta dai deputati Armani e Chianale (dal 24 al 25 luglio 2003).

2. Principali elementi emersi nel corso dell'indagine conoscitiva.
Nel corso dell'indagine sono emersi numerosi spunti di riflessione ed elementi di conoscenza, che hanno fornito alla Commissione un significativo quadro d'insieme delle problematiche esistenti. Nel rinviare, per il dettaglio, ai resoconti delle audizioni effettuate, si riportano di seguito le principali questioni analizzate.
Una delle questioni principali oggetto dell'indagine conoscitiva ha riguardato la verifica dei dati contabili degli Enti parco e l'analisi degli strumenti attraverso i quali è possibile migliorare la capacità di spesa degli Enti stessi. Per quel che riguarda la verifica dei dati contabili, l'indagine ha permesso di appurare innanzitutto l'esistenza di notevoli giacenze di cassa presso gli Enti parco, non soltanto presso quelli di più recente istituzione, ma anche in qualche parco operativo da tempo.
Tale fenomeno è da ricondurre prevalentemente a tre distinti fattori.
Il primo dei fattori è costituito da un fenomeno oggettivo, che è stato originato a causa dell'ingente dotazione di risorse finanziarie che sono state assegnate agli Enti parco al momento della loro istituzione. Infatti, risorse accumulatesi nel corso degli anni, a partire dalla fine degli anni '80 (ossia dal momento della formale nascita di molti parchi), sono state trasferite in blocco - alla metà degli anni '90 - ad Enti parco appena costituiti, provvisti dei soli organi amministrativi e privi di idonee strutture amministrative. Il contestuale impegno, per gli Enti appena sorti, della propria strutturazione e della programmazione dell'utilizzo delle risorse ha quindi creato inevitabili ritardi, che ancora oggi perdurano. Occorre pertanto intervenire su tali cause, affinché siano rimosse in tempi rapidi.
Il secondo dei fattori può inoltre considerarsi ormai superato dal punto di vista normativo, ma presenta ancora riflessi negativi sul piano pratico, con particolare riferimento alla realizzazione di investimenti pregressi. La questione riguarda i meccanismi di finanziamento delle attività degli Enti parco originariamente previsti all'articolo 4 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 («legge quadro sulle aree protette»), solo di recente abrogato dalla cosiddetta «riforma Bassanini».
In base alla citata disposizione di legge, infatti, l'attribuzione di risorse agli Enti parco nazionali avveniva sulla base di programmi triennali, i quali, pur svolgendo una significativa funzione di inquadramento unitario degli investimenti previsti, impedivano, di fatto, il consolidamento di un adeguato meccanismo di selezione dei progetti e di controllo delle modalità di utilizzazione delle risorse da parte dei destinatari.
Più in particolare, la mancanza di un ragionevole meccanismo di selezione dei progetti ha fatto sì che venissero assegnate risorse per progetti che non avevano possibilità di essere realizzati, a volte anche a causa del fatto che le risorse sono state attribuite ad Enti parco che non avevano ancora provveduto a costituire i propri organi e si trovavano, in pratica, impossibilitati ad attuare tali progetti.
Inoltre, l'assegnazione delle risorse avveniva in un'unica soluzione, senza che venisse rateizzato il finanziamento in funzione dello stato di avanzamento dei lavori, ciò che di fatto ha comportato l'immobilizzazione di notevoli quantità di risorse.
Pur riconoscendo che i programmi triennali assolvevano ad una utile funzione di monitoraggio unitario del Ministero competente sul complesso degli investimenti programmati dagli Enti parco, si osserva che i problemi evidenziati, che hanno rappresentato un elemento di «blocco» della spesa in conto capitale, dovrebbero via via essere superati con la progressiva entrata a regime delle nuove regole. In ogni caso, si può comunque raccomandare ai centri amministrativi competenti di sollecitare la più rapida definizione dei contributi agli Enti parco nazionali e, per altro verso, valutare la possibilità di introdurre nuovi e più flessibili strumenti di programmazione per le aree protette, che consentano di affiancare, ad una dotazione di base certa di risorse finanziarie, anche un quadro di progetti che possano considerarsi «cantierabili» e, quindi, realistici ed effettivi.
Un altro fattore che ha comportato l'accumulo di notevoli giacenze di cassa risulta collegato alla circostanza che a volte i finanziamenti di progetti da realizzare all'interno degli Enti parco provengono da vari Enti (Stato, Regioni, Unione europea) in momenti diversi ed è quindi necessario, per poter avviare i progetti, attendere che tutti i finanziamenti siano a disposizione dell'Ente parco.
Per quel che riguarda invece il miglioramento della capacità di spesa degli Enti, un primo punto critico che è emerso dall'indagine è relativo al fatto che l'assegnazione di risorse a Enti che non avevano costituito i propri organi ha fatto sì che tali risorse venissero gestite a volte direttamente dai Comuni facenti parte dell'Ente parco. Ciò, oltre che costituire una prassi non pienamente omogenea rispetto alle disposizioni della legge quadro sulle aree protette, ha portato a una frammentazione del potere di spesa, che causa notevoli inconvenienti dal punto di vista della gestione unitaria e coordinata degli interventi da attuare all'interno dei parchi. In tal senso, ispirandosi ai principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, da ultimo richiamati dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 303 del 2003, è opportuno far sì che, nell'ipotesi in cui i comuni sono titolari della progettazione e della realizzazione degli interventi, tali interventi siano comunque inseriti in una strategia generale del parco e che vi sia una adeguata azione di coordinamento e di vigilanza, da parte degli stessi Enti parco, sui progetti affidati ai comuni.
In ogni caso, anche alla luce delle questioni evidenziate, si pone il problema di individuare ulteriori soluzioni che consentano lo smaltimento dell'ingente quantità di residui spendibili.
In questo contesto generale, uno degli strumenti che possono contribuire a potenziare la capacità di spesa degli Enti parco nazionali è rappresentato, almeno in parte, da una certa quota di autofinanziamento degli Enti parco: si intende fare riferimento, in sostanza, a forme di finanziamento intese come sistemi di reperimento di risorse attraverso l'esercizio di attività di impresa rigorosamente eco-compatibile e funzionale alle stesse popolazioni residenti.
Tale strumento non ha ancora trovato sufficiente spazio a causa della mancata adozione, presso la maggior parte degli Enti parco, degli strumenti di gestione (il piano del parco, il regolamento, il piano pluriennale per lo sviluppo socio-economico delle comunità locali) previsti dalla legge 6 dicembre 1991, n. 394 e del mancato completamento delle piante organiche nella maggior parte degli Enti parco nazionali, con la creazione di figure dirigenziali aventi una certa adeguata configurazione manageriale.
Inoltre, non ha trovato sufficiente applicazione la disposizione contenuta al comma 4 dell'articolo 14 della «legge quadro», che autorizza gli Enti parco a stipulare apposite convenzioni per la concessione dell'uso del proprio nome e del proprio emblema (il cosiddetto «logo») a servizi e prodotti locali che presentino requisiti di qualità e che soddisfino le finalità del parco (i cosiddetti «marchi di qualità ecologica»).
È chiaro che l'autofinanziamento può essere solo parzialmente integrativo di una dotazione di risorse finanziarie pubbliche, che devono continuare ad essere investite nelle aree protette, anche in considerazione delle diversità esistenti tra situazioni territoriali differenti, che vedono parchi più vocati all'autofinanziamento (Cinque Terre e Vesuvio) e parchi meno vocati, come, ad esempio, quello del Pollino o dell'Aspromonte. In questo quadro, anche alla luce delle motivazioni che stanno alla base del fenomeno dei residui passivi, che si è dimostrato meno preoccupante del previsto, occorre mantenere un livello adeguato di risorse finanziarie statali da trasferire agli Enti parco.
Tuttavia, occorre anche riconoscere che dalla concessione dell'uso di «marchi di qualità ecologica» possono scaturire effetti molto positivi, oltre che per stimolare l'attività d'impresa sul territorio, anche per le casse dell'Ente parco, non solo in base al fatto che l'uso di tali marchi può essere condizionato al pagamento di royalties da parte del soggetto che li utilizza, ma altresì in quanto la presenza di prodotti contraddistinti dal marchio all'interno di un Ente parco rende quest'ultimo maggiormente visibile all'esterno e quindi appetibile dal punto di vista turistico, favorendo un afflusso maggiore di visitatori con possibilità di introiti aggiuntivi per l'Ente medesimo.
Peraltro, un altro intervento mirato, che potrebbe aiutare i parchi a muoversi in questa direzione di valorizzazione anche economica delle proprie risorse, è costituito dalla possibilità di prevedere, in tutti quei casi nei quali ciò si rivelasse realizzabile, il trasferimento alla gestione degli Enti parco delle riserve naturali site all'interno delle aree protette. Si tratta di un trasferimento che doveva essere già avvenuto in base a vigenti disposizioni di legge, che tuttavia non risultano ancora attuate: tale fenomeno è così causa di incertezze e difficoltà nella pianificazione e gestione delle aree protette.
Un altro strumento che potrebbe consentire di potenziare la capacità di spesa degli Enti parco è poi rappresentato da una maggiore utilizzazione, da parte degli enti locali, dell'articolo 7 della legge n. 394 del 1991, che prevede che i comuni e le province compresi all'interno di un Ente parco abbiano priorità nella concessione di finanziamenti dell'Unione europea, statali e regionali per la realizzazione di determinati interventi all'interno dell'Ente parco. Tale facoltà è stata finora utilizzata molto raramente o è rimasta addirittura «lettera morta».
Infine, concludendo il discorso relativo al potenziamento della capacità di spesa degli Enti parco, occorre ricordare che è emerso dall'indagine che la normativa che regola la contabilità degli Enti parco (la cosiddetta normativa sul «parastato») e cioè il decreto del Presidente della Repubblica n. 696 del 1979, vincola eccessivamente gli Enti parco nella gestione della spesa. In base a tale normativa, ad esempio, una variazione di bilancio richiede tempi (da 90 a 120 giorni) incompatibili con l'efficace gestione della spesa, specie se essi si raffrontano con i tempi necessari per equivalenti operazioni da parte dei comuni rientranti nel territorio di ogni Ente parco.
Un'altra questione che ha costituito oggetto di notevole approfondimento nel corso dell'indagine è quella relativa ai problemi riguardanti l'organizzazione amministrativa dei parchi, con particolare riferimento a quello rappresentato dalla mancata copertura dei posti delle piante organiche della maggior parte degli Enti parco. Ciò diminuisce notevolmente la capacità operativa degli Enti ed è una questione che, sia pure nel dovuto rispetto delle competenze amministrative del Ministero, dovrà essere affrontata con opportune soluzioni.
Il problema di tipo «organizzativo» di maggiore rilevanza registratosi in molti Enti parco riguarda poi la gestione amministrativa, che è stata in alcuni casi affidata, in mancanza del direttore, al Consiglio direttivo. Ciò ha reso alquanto farraginosi i processi decisionali all'interno dei parchi, dato che il Consiglio direttivo, stante la sua natura di organo collegiale, non riesce a gestire in modo sufficientemente snello ed efficace le attività del parco.
Tali processi decisionali sono tra l'altro resi ancora più macchinosi dalle disposizioni di legge, che sottopongono tutte le delibere del Consiglio, anche quelle routinarie e di dettaglio, al controllo di legittimità da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.
È stata quindi prospettata, da molti soggetti auditi, la possibilità di passare da una «gestione per atti» a una «gestione per risultati», in linea con quanto previsto dal decreto legislativo n. 165 del 2001, lasciando al Consiglio direttivo il compito di definire gli indirizzi generali dell'attività amministrativa e ai direttori (che andrebbero comunque nominati al più presto negli Enti parco ove ancora mancano) il compito di attuare tali indirizzi. La soluzione può essere interessante, a condizione che non venga comunque meno una forma generale di vigilanza da parte del Ministero competente.
Da un altro punto di vista, è stato evidenziato che una gestione efficace dell'Ente parco, sia pure con le necessarie cautele di adattamento alla peculiare e specifica realtà dei parchi, non può prescindere da un'organizzazione imperniata su una direzione di tipo «manageriale» (come, del resto, si è già rilevato a proposito dello sviluppo di forme di autofinanziamento e di utilizzo del «logo» degli enti parco come marchi di qualità ecologica). A tale riguardo, una delle soluzioni prospettate potrebbe essere quella della creazione della figura di un Presidente avente capacità gestionale amministrativa.
In base alla legislazione vigente, infatti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, d'intesa con i presidenti delle Regioni o delle province autonome di Trento e di Bolzano, nomina il Presidente dell'Ente parco. L'esercizio di tale potere non è legato al rispetto di parametri particolari. Ciò comporta la possibilità che vengano nominati Presidenti degli Enti parco soggetti che non hanno particolari competenze di tipo gestionale-amministrativo.
Un'altra soluzione prospettata è quella di nominare, accanto al Presidente dell'Ente, anche un vicepresidente con funzioni e curriculum orientati sul versante amministrativo-finanziario.
In ogni caso, svolgendo le predette figure un ruolo di carattere prevalentemente politico-istituzionale, si osserva che, senza incidere sulle cariche di vertice dell'Ente parco, una direzione più marcatamente «manageriale» delle attività del parco potrebbe comunque derivare dalla specializzazione in tal senso della figura del direttore del Parco.
Passando, infatti, alle figure di carattere più strettamente amministrativo, si ricorda che il comma 11 dell'articolo 9 della legge 6 dicembre 1991, n. 394 prevede che il direttore del parco, nominato con decreto del Ministro dell'ambiente, sia scelto in una rosa di tre candidati proposti dal consiglio direttivo tra soggetti iscritti ad un albo di idonei all'esercizio dell'attività di direttore di parco istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, al quale si accede mediante procedura concorsuale per titoli.
I requisiti per l'iscrizione all'albo sono stabiliti da una commissione ministeriale. Potrebbe tuttavia essere opportuno - in controtendenza rispetto a quanto finora è stato fatto - scegliere i requisiti per la nomina attraverso modalità che consentano di nominare, quali direttori dei parchi, soggetti aventi idonee capacità gestionali. È necessario cioè individuare requisiti per l'iscrizione all'albo che diano la possibilità di nominare veri e propri «direttori amministrativi», anche eventualmente attingendo a risorse esterne alla stessa amministrazione ovvero, se si vuole mantenere un aggancio con il pubblico impiego, anche a figure funzionali che non operino necessariamente nello specifico ambito della protezione e tutela ambientale, ma anche in altri settori dell'amministrazione pubblica.
In ogni caso, l'esigenza di una maggiore managerialità nell'alta dirigenza degli Enti parco non andrebbe certo a ridurre le funzioni di tutela naturalistica e ambientale, la cui salvaguardia, oltre ad essere alla base dell'esistenza stessa degli Enti parco, potrebbe essere garantita da specifiche figure professionali nelle piante organiche o da comitati scientifici operanti presso i parchi.
È emerso inoltre che l'efficiente gestione delle attività dei parchi dipende anche dal rapporto tra Ente parco e soggetti che esercitano funzioni di controllo ambientale (in particolare, i CTA - Coordinamenti territoriali ambientali - del Corpo forestale dello Stato). Tali ultimi, ad eccezione del Parco del Gran Paradiso (in cui esiste una autonoma struttura di Guardiaparco, gerarchicamente dipendente dall'Ente parco), sono incardinati nelle strutture di vigilanza facenti capo al Ministero delle politiche agricole e forestali.
È scaturito quindi dall'indagine che, laddove vi sono buoni rapporti tra l'Ente parco e il locale presidio del Corpo forestale, si registra una particolare efficacia della stessa azione amministrativa del parco. Al contrario, sussistono significative difficoltà di funzionamento in quelle realtà in cui i rapporti sono caratterizzati da tensioni o incomprensioni.
Essendo quindi - di fatto - tali rapporti rimessi più alla capacità relazionale dei singoli soggetti preposti agli incarichi, che non ad un rapporto di natura organica o gerarchica, la capacità di collaborazione dipende di conseguenza da fattori di carattere occasionale piuttosto che da una razionale organizzazione delle rispettive competenze.
Per tali motivi, a prescindere dalle valutazioni circa la maggiore o minore efficacia di autonome guardie, direttamente dipendenti dagli Enti parco, occorre riflettere in misura approfondita e generale sull'opportunità di garantire una migliore organizzazione delle strutture di polizia destinate al controllo ambientale, eventualmente prevedendo forme di vigilanza o di funzionalità gerarchica da parte del Ministero che più appare competente nella materia, avendo funzioni di vigilanza sugli stessi Enti parco nazionali, ossia il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.
Un'altra questione di tipo organizzativo, che si rivela vitale per lo sviluppo coordinato e condiviso delle attività all'interno dei parchi, è legata poi ai rapporti tra Ente parco e Comunità del parco stesso. La Comunità del parco, che è costituita dai presidenti delle regioni e delle province, dai sindaci dei comuni e dai presidenti delle comunità montane nei cui territori sono comprese le aree del parco, formula pareri su atti del Consiglio direttivo dell'Ente parco, la Comunità, in quanto elemento rappresentativo delle istanze degli enti locali, dovrebbe quindi costituire un punto di riferimento essenziale per lo stesso Ente parco, quanto meno per ciò che concerne la capacità di intervenire sul territorio in termini di investimenti e di concreta attività gestionale.
I pareri che vengono forniti dalla Comunità del parco non sono però vincolanti e ciò significa che un Ente parco potrebbe decidere di porre in essere le proprie attività in piena e totale autonomia rispetto alle rispettive comunità locali. Per fare solo un esempio, se un parere della Comunità del parco non è recepito dal Consiglio direttivo dell'Ente, le istanze delle comunità locali contenute nel parere potrebbero non trovare accoglimento, stante il numero minoritario di rappresentanti delle comunità stesse presenti nel Consiglio direttivo (formato da 12 membri, di cui soltanto 5 rappresentano le comunità locali).
Andrebbero pertanto verificate tutte le possibili soluzioni per far in modo di coinvolgere in pieno le autonomie locali nei processi decisionali dell'Ente parco, senza ovviamente togliere nulla all'indirizzo generale organico della politica del parco, giustamente affidato ai suoi vertici, che, in base alla normativa vigente, sono espressi dal Ministero competente, d'intesa con le regioni interessate.
Come rilevato in precedenza, inoltre, un argomento molto dibattuto durante il corso dell'indagine conoscitiva riguarda l'importanza dal piano del parco, che rappresenta il fondamentale strumento di carattere urbanistico-territoriale per gli Enti parco nazionali. Esso deve essere adottato dall'Ente parco ed approvato dalle regioni competenti.
Al momento, soltanto una limitatissima percentuale di Enti parco (pari all'incirca al 10 per cento del totale) è stata in grado di completare la procedura di definizione del piano. Per alcuni parchi, invece, la definitiva approvazione dei piani già adottati è bloccata presso le regioni competenti. Si tratta, dunque, di una questione rilevante, dalla cui soluzione potrebbero derivare elementi di particolare importanza per il rilancio e lo sviluppo dell'attività degli Enti parco nazionali, anche nell'interesse delle popolazioni esistenti all'interno dei loro territori.
Una soluzione a tale questione è peraltro già prevista dalla normativa vigente, che sancisce, nel caso di parere negativo da parte delle Regioni, la possibilità da parte del Governo di esercitare poteri sostitutivi, senza per questo violare i principi del nuovo Titolo V della Costituzione.
Infine, passando ad una questione più di dettaglio, sono stati evidenziati problemi di natura burocratica per quel che concerne il controllo paesistico-ambientale per un immobile o un terreno che ricadono all'interno del perimetro del parco. In particolare, sono stati sottolineati i problemi derivanti dal fatto che esiste una triplice forma di controllo: il primo è quello esercitato dalla commissione edilizia comunale integrata, gli altri sono esercitati dall'Ente parco tramite un nulla osta e dalla Soprintedenza in via di autotutela.
Potrebbe in particolare essere utile eliminare tale ultima forma di controllo ovvero, intervenendo in misura più innovativa, organizzare presso gli Enti parco nazionali dei veri e propri «sportelli unici autorizzativi». Gli sportelli unici avrebbero la funzione di accogliere in un'unica sede le richieste e le pratiche di autorizzazione, ferme restando le rispettive competenze di ciascun ente, nonché di coordinare e rendere tempestive le valutazioni delle diverse amministrazioni competenti, ivi incluse le Soprintendenze.

3. I sopralluoghi effettuati presso alcuni Enti parco nazionali.
Come rilevato nella sezione introduttiva, una parte qualificante dell'indagine conoscitiva ha riguardato i sopralluoghi che alcune delegazioni della Commissione hanno effettuato presso diversi Enti parco nazionali. Il presente paragrafo contiene pertanto i principali dati emersi nel corso delle missioni effettuate, dando conto in particolare delle specifiche caratteristiche che le delegazioni parlamentari hanno potuto rilevare presso ciascuno degli Enti interessati, anche in relazione agli elementi conoscitivi già illustrati nel paragrafo precedente.
In questo quadro, si osserva che la prima missione di studio effettuata, presso l'Ente parco nazionale delle Cinque terre, ha evidenziato un aspetto fondamentale ai fini degli obiettivi perseguiti dall'indagine conoscitiva, che riguarda la capacità di autofinanziamento degli Enti parco.
La missione ha infatti posto in luce la capacità dell'Ente parco di autofinanziarsi attraverso lo svolgimento di un'attività di carattere imprenditoriale, volta alla tutela del territorio e allo sfruttamento delle risorse turistiche dell'Ente parco stesso. A tal fine, l'Ente si è dotato di un numero significativo di strutture e servizi che agevolano il turismo, quali: recupero dei terrazzamenti già a coltura viticola, alberghi, collegamenti, punti di accoglienza, escursioni guidate.
In particolare, appare degna di apprezzamento l'iniziativa dell'Ente parco tendente ad offrire, quale corrispettivo del pagamento di un unico prezzo, tutta una serie di servizi ai turisti (vitto, alloggio, trasporti, escursioni). In tal senso, merita di essere sottolineato il fatto che, al fine di garantire un elevato livello di qualità ai servizi offerti, l'Ente parco ha istituito un apposito marchio di qualità da attribuire alle strutture - dotate di determinati standard - appartenenti ai soggetti privati che esercitano attività alberghiera.
Al fine di favorire il turismo, l'Ente incentiva inoltre la produzione di prodotti tipici locali (vini, profumi, cosmetici), fornendo ad essi anche una sorta di «marchio» di garanzia di qualità da parte del parco. Non sono stati peraltro riscontrati particolari problemi sotto il profilo della gestione finanziaria.
Nel corso del sopralluogo presso l'Ente parco nazionale della Majella, è emersa una forte capacità, da parte dell'Ente, di adottare principi di partecipazione e di condivisione delle scelte con tutti i soggetti coinvolti nell'ambito del parco, secondo una tendenza ad interpretare il parco non come un potenziale «nemico» delle comunità locali, ma come una vera e propria risorsa economica e sociale.
In questo contesto, si è rilevata l'esistenza di significative forme di collaborazione con i responsabili del Corpo Forestale dello Stato, che partecipano attivamente alla politica di conservazione ambientale del parco stesso.
Inoltre, sono stati attivati specifici interventi finalizzati ad incentivare il coinvolgimento delle popolazioni locali nell'attività dell'Ente parco, favorendo anche il ricorso a cooperative create da giovani del luogo o a strutture partecipate dagli enti locali, per la realizzazione di iniziative culturali, museali, formative e turistiche.
Nell'ambito della politica dell'Ente parco sta inoltre prendendo quota il perseguimento del principio dell'autofinanziamento come forma di compartecipazione alle risorse del parco, soprattutto mediante la valorizzazione dei prodotti tipici locali, ai quali l'Ente parco consente di apporre il proprio simbolo come elemento di garanzia di qualità. Sono altresì stati raggiunti importanti accordi con gli enti locali, al fine di incoraggiare la parziale copertura, da parte dei privati, degli oneri legati agli usi collettivi.
Quanto ai dati di bilancio, si è constatato un trend positivo nella spesa del parco dal 1996 ad oggi, con residui passivi che ammontano a circa 10 milioni di euro, per i quali tuttavia si è fatto presente che si tratta di fondi destinati, per lo più, a progetti già avviati o «cantierati» per dotazioni infrastrutturali. I residui sono piuttosto elevati, anche perché i rappresentanti dell'Ente parco hanno sottolineato che la politica dell'Ente consiste nell'attivare una notevole mole di progetti di vasta portata, che non costituiscano mere «operazioni di facciata» o di tecnica contabile, bensì investimenti concreti.
È stato infine rilevato come la Regione Abruzzo non abbia ancora approvato il piano del parco, in tal modo «bloccando», di fatto, un ulteriore sviluppo nell'attività dell'Ente.
Nel sopralluogo presso l'Ente parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, i responsabili dell'Ente hanno voluto evidenziare un recente cambiamento di mentalità da parte degli stessi responsabili degli enti locali coinvolti, tanto che diversi comuni esclusi dal perimetro del parco hanno fatto richiesta di ingresso. In questo ambito, l'Ente parco sta pertanto cercando di rafforzare le forme di collaborazione con gli enti locali, per favorire il massimo di condivisione nelle scelte fondamentali, alcune delle quali sono già state realizzate.
L'amministrazione del parco ha di recente lanciato una significativa iniziativa, che prevede la suddivisione dell'area del parco in diversi distretti «virtuali» (nel senso che essi non trovano riscontro in alcuna autorità amministrativa esistente). Ogni distretto è stato classificato per le proprie caratteristiche ambientali, paesistiche, geografiche e culturali, nella prospettiva di una sua caratterizzazione tipica e di una sua autonoma valorizzazione. L'Ente parco prevede infatti di affidare, tramite gara europea, la gestione del singolo distretto ai soggetti privati interessati che decidano di concorrere, affinché questi ne garantiscano lo sfruttamento in termini turistici, produttivi e di tutela e valorizzazione ambientale. A fronte di tale «affidamento in gestione», l'Ente parco, dopo un primo periodo di «inserimento» gratuito, riceverà quindi le relative royalties da parte dei soggetti gestori, ricevendo in cambio anche il perseguimento di una politica specifica di valorizzazione dell'area.
Quanto all'ammontare dei residui passivi (pari a circa 11 milioni di euro), si è rilevata una riduzione dei residui nel 2002 rispetto a quelli del 2001, sebbene il problema tuttora persista. L'amministrazione del parco ha tuttavia osservato che il problema è causato soprattutto dall'esigenza di dover fare fronte alle ingenti quantità di fondi che sono stati impegnati in una serie di appalti che i comuni, al momento della nascita dell'Ente parco nazionale, hanno voluto avviare per non «disperdere» i finanziamenti. A fronte di tale questione, la presidenza del parco ha peraltro comunicato di avere messo in mora i comuni che non hanno ancora avviato i lavori, minacciando la revoca dei finanziamenti ovvero la riconversione dei progetti originari in progetti più utili per il territorio.
Anche presso il parco del Gran Sasso e Monti della Laga è infine emerso, in misura preoccupante, il problema della mancata approvazione, da parte della Regione Abruzzo, del piano del parco.
Nel corso del sopralluogo presso l'Ente parco nazionale del Pollino, la delegazione della Commissione ha potuto rilevare una situazione parzialmente differente rispetto alle altre realtà visitate, in quanto si tratta di un parco nazionale particolarmente ampio (il più vasto dei parchi italiani), caratterizzato da forte antropizzazione al di fuori dei territori delle riserve e, soprattutto, calato fortemente in una delicata realtà di equilibri locali tra la componente territoriale calabrese e quella lucana.
Nel parco, è piuttosto evidente il contrasto tra l'estensione di vasti territori naturali, anche particolarmente difficili da raggiungere e, per converso, la presenza di ampie zone di urbanizzazione, inserite in misura piuttosto equilibrata all'interno del contesto ecologico.
È in ogni caso significativo che, al di là delle tradizionali risorse di carattere naturale ed ambientale, l'Ente parco (che parte da una situazione socio-economica di base piuttosto complessa) stia ora cercando di promuovere ed incentivare concretamente un'idea di «parco produttivo», ossia di un parco che, sia pur di fronte alle criticità territoriali ed occupazionali esistenti, possa creare al proprio interno ulteriori possibilità di sviluppo e di autofinanziamento.
A fronte di una situazione di capacità di spesa piuttosto critica a tutto il giugno 2001, i nuovi responsabili dell'Ente parco hanno peraltro avviato una significativa campagna di riduzione delle giacenze di cassa e dei residui passivi, che dalla fine del 2001 hanno assunto un trend discendente, fino ad arrivare ad un livello molto più vicino a quello della media nazionale. Si è inoltre promossa una politica di valorizzazione dei lavoratori socialmente utili, che vengono utilizzati all'interno di vari punti informativi del Parco.
Appare pertanto essenziale che l'Ente parco possa proseguire nell'opera di promozione e valorizzazione delle proprie risorse, con particolare riferimento a quelle naturali e tipiche, nonché turistiche, in un quadro generale in cui si possano contemperare gli equilibri tra componenti regionali calabresi e lucane, risolvendo in misura adeguata quello che costituisce uno dei punti cruciali di peculiarità del parco del Pollino.
La missione di studio presso il Parco nazionale dello Stelvio ha avuto un particolare significato soprattutto dal punto di vista organizzativo, poiché il parco è storicamente uno dei primi parchi italiani: la sua istituzione risale alla legge n. 740 del 1935. Tuttavia, è solo a partire dagli anni '90 che è venuta definendosi una vera e propria struttura amministrativa, che subentra alla precedente gestione da parte della Azienda di Stato per le Foreste Demaniali (ASFD). Nel 1992 fu infatti sottoscritto un accordo fra Stato, Province autonome di Trento e Bolzano e Regione Lombardia per la istituzione di un Consorzio di gestione del Parco, secondo le nuove norme dettate dalla legge quadro. Il Consorzio è stato costituito nel 1993, mentre il primo Presidente del Consorzio è stato nominato nel 1995. Da questa data si è avuto il subentro effettivo alla gestione ASFD. Quindi i problemi del rapporto fra Parco e territori compresi, e soprattutto fra Parco e popolazioni interessate, devono essere considerati con riferimento a questa fase più recente, in quanto nella vecchia gestione il Parco era stato concepito come semplice delimitazione di una porzione di territorio, senza alcuna considerazione delle popolazioni locali. Queste ultime, conseguentemente, hanno tradizionalmente avuto una scarsa identificazione con il Parco stesso.
Dal sopralluogo della delegazione parlamentare presso l'Ente Parco nazionale dello Stelvio è emersa, quale principale peculiarità, caratterizzante tutti gli aspetti gestionali dell'Ente, l'articolazione del Parco in tre distinte realtà territoriali. Sia a causa della estensione territoriale del Parco, sia per l'alto livello di autonomia di cui godono le province autonome di Trento e di Bolzano, tutte le principali problematiche gestionali vertono intorno al tema dell'autonomia delle tre componenti territoriali e amministrative. Il Parco è infatti articolato in una componente lombarda (a cui fa riferimento la porzione di territorio maggiore), una altoatesina ed una trentina (la più piccola in termini di estensione). A questi tre ambiti territoriali corrispondono i tre Comitati di gestione, a cui sono state delegate rilevanti funzioni gestionali. La gestione ha pertanto un forte carattere di decentramento, e i tre Comitati aspirano ad un'autonomia ancora maggiore: da organi del Parco, tali strutture tendono a diventare veri e propri organismi, con ampi poteri sostanziali anche in tema di autorizzazioni.
Tale tendenza al decentramento, che potrebbe sfociare addirittura in una richiesta di completa autonomia e di separazione, è anche favorita dagli aspetti finanziari, in quanto il contributo statale annuale rappresenta solo una parte delle risorse di cui il Parco può godere: contributi aggiuntivi (di entità molto differente) vengono infatti disposti dalla Regione Lombardia e (in misura relativamente più consistente) dalle due Province autonome; ma tali contributi sono destinati solo alle corrispondenti porzioni di territorio. Ne deriva una diversa disponibilità di risorse da parte dei tre Comitati, con maggiori risorse assegnate a quelli facenti capo alle due province autonome.
Si segnala, peraltro, come l'ipotesi di una separazione delle tre componenti è stata valutata, dalla delegazione della VIII Commissione, come un'eventualità significativamente negativa, in quanto una delle caratteristiche più tipiche (e apprezzabili) del Parco dello Stelvio appare proprio la varietà delle situazioni economiche, sociali e produttive (oltre che ecologiche), data anche la contiguità dello stesso con il confinante Parco nazionale svizzero.
Si rileva inoltre che è in preparazione un Regolamento del Parco, così come è in fase avanzata di elaborazione il Piano del Parco, la cui adozione è prevista entro il gennaio 2004. Il Piano terrà conto della notevole varietà delle situazioni territoriali interessate, principalmente sul piano economico e produttivo, e a tal fine prevede una zonizzazione articolata in tre distinte fasce di protezione.
Quanto allo sviluppo di investimenti, la delegazione parlamentare ha verificato una intensa attività - in tutte e tre le aree del Parco - relativamente alla creazione di nuovi centri-visitatori o al miglioramento di quelli già funzionanti. Invece, in merito ad iniziative volte ad aumentare le capacità di autofinanziamento, la delegazione ha preso atto di una situazione ad uno stadio di sviluppo ancora iniziale, con interessanti - ma ancora circoscritte - iniziative nell'area trentina e con una impegnativa operazione scientifico-educativa (con possibili ricadute promozionali) nel comune di Prato allo Stelvio nell'area altoatesina, consistente nella costruzione di un centro-visitatori al cui interno è ospitata una suggestiva ricostruzione dell'ambiente fluviale e lacustre del Parco che, una volta aperta al pubblico, certamente sarà in grado di attrarre visitatori.
Non sono state invece attivate esperienze di marchio del Parco per prodotti locali - di cui pure sarebbe ricca l'agricoltura tradizionale - così come risultano poco sfruttate le potenzialità del merchandising e la stessa segnaletica del Parco. È peraltro da segnalare che nel 2005 l'area lombarda (Valtellina e Valfurva) sarà interessata da un importante evento sportivo e turistico (i campionati mondiali di sci alpino), che ha sollevato, in sede di investimenti per adeguamenti ricettivi ed impianti sciistici, qualche tensione tra Ente parco e comunità locali, che tuttavia sembrano ora in via di superamento, anche a seguito dell'intervento del Ministero vigilante.
Il sopralluogo presso il Parco nazionale del Gran Paradiso ha consentito di verificare la situazione complessiva del Parco che è considerato il «decano» dei parchi nazionali italiani, essendo sorto nel lontano 1922.
Dalla missione di studio è emersa, in primo luogo, la particolare situazione finanziaria dell'Ente, che annualmente riesce ad approvare il bilancio preventivo nei termini previsti, addirittura prima ancora di ricevere i dati sui finanziamenti da parte del Ministero. Per l'anno 2003, tuttavia, l'Ente parco si è trovato nella situazione di avere approvato il bilancio preventivo facendo affidamento su un determinato tipo di stanziamento, che invece risulta diminuito in sede di definizione del decreto ministeriale di riparto dei fondi agli stessi Enti parco. In tal senso, il vero problema del Parco sembrerebbe essere costituito dalla spesa corrente, piuttosto che dai residui in conto capitale, in ordine ai quali l'Ente parco sembra essere uno dei più virtuosi nel panorama nazionale.
Dalla missione è inoltre emersa una delle principali peculiarità del Parco, che consiste nella dotazione di una propria ed autonoma Guardia per la gestione della vigilanza nel Parco. Si tratta infatti dell'unico Ente parco nazionale che, in luogo del Corpo forestale dello Stato, può contare su un autonomo servizio di vigilanza e sorveglianza. Dalle testimonianze raccolte presso l'Ente parco e presso gli enti locali della comunità del Parco, risulta che le Guardie del Parco svolgono un'attività qualificata, garantendo con la propria presenza una attenta gestione dell'ambiente e dell'ecosistema. È stata a tal fine sottoposta alla delegazione della Commissione l'ipotesi di una incentivazione delle misure a sostegno dei Guardiaparco, anche favorendo un maggiore radicamento sul territorio di coloro che vi prestano servizio.
Nel corso dei colloqui si è inoltre evidenziata l'esigenza di accelerare lo stanziamento dei fondi ai sensi della legge n. 388 del 2000, da destinare alla realizzazione di opere per lo sviluppo integrato delle zone del Parco e dei comuni in esso inclusi. Dai sopralluoghi effettuati, è stato possibile osservare interessanti esempi di interventi mirati all'integrazione tra sviluppo delle attività agricole e del turismo naturalistico e, più in generale, di progetti in grado di raggiungere, senza cancellare cultura e tradizioni, un equilibrio tra tutela dell'ambiente e necessità delle popolazioni.
Un problema storico, posto anch'esso all'attenzione della delegazione, è quindi rappresentato dalla definizione dei confini del Parco, il quale non è tuttora dotato di un proprio piano. Al riguardo, si è appreso che i responsabili dell'Ente, in collaborazione con la comunità del Parco, stanno cercando una soluzione che consenta di superare gli attriti sorti nel passato con le popolazioni locali, in modo da poter giungere ad una stesura definitiva del progetto di piano, da sottoporre alle regioni competenti.
Si rileva infine che, analogamente al Parco nazionale dello Stelvio, non sono state ancora portate ancora ad un avanzato stadio di sviluppo le iniziative in ordine al marchio del Parco per alcuni prodotti tipici locali, che sarebbero comunque allo studio dei responsabili dell'Ente.

4. Conclusioni.
L'indagine ha permesso di evidenziare, attraverso le audizioni e i sopralluoghi effettuati, una serie di elementi di rilievo riguardo ai problemi che interessano la gestione amministrativa degli Enti parco nazionali. Tali elementi, unitamente alle relative soluzioni ipotizzate, potrebbero peraltro essere tenuti in considerazione anche in sede di attuazione delle disposizioni di delega contenute nel disegno di legge A.C.1798-B, recante un'ampia e dettagliata delega al Governo per il riordino della legislazione in materia ambientale, attualmente all'esame del Parlamento, che prevede tra l'altro la possibilità di procedere ad una complessiva ed organica revisione della legge n. 394 del 1991.
Un primo aspetto problematico che potrebbe essere risolto è quello relativo alle misure per ridurre le notevoli giacenze di cassa presso gli Enti parco.
A tal proposito, si sottolinea l'importanza di valutare tutti i profili più complessi che stanno alla base dell'esistenza di residui passivi in conto capitale. Infatti, se per un verso l'esistenza di consistenti residui passivi in conto capitale denoterebbe la presunta incapacità di spesa per investimenti da parte dell'Ente, per altro verso occorre considerare che l'accumulo di residui passivi dipende anche da fenomeni non direttamente riconducibili all'attività degli Enti.
Tra questi fenomeni, ai quali occorre ovviare in tempi rapidi e con misure mirate, si segnalano: ritardi nell'assegnazione di fondi da parte dei soggetti competenti, che spesso arrivano agli Enti alla fine dell'anno solare e, per non diventare residui, dovrebbero quindi essere impegnati entro l'anno medesimo (senza contare poi, a distanza di un anno dall'iscrizione a residuo, del sicuro «effetto tagliola» rappresentato dai meccanismi creati con il provvedimento cosiddetto «taglia-spese»); difficoltà di programmare tempestivamente le spese delle risorse in conto capitale entro i termini necessari, a causa di una normativa di contabilità che, come illustrato in precedenza, pone una serie di problemi ad un'efficiente gestione della spesa; incapacità o lentezza dei comuni destinatari delle risorse nel porre in essere gli interventi finanziati; difficoltà di concludere in tempi certi l'intero iter amministrativo di approvazione degli interventi.
Occorre quindi valutare l'opportunità di rivedere la normativa di contabilità del settore e in generale garantire agli Enti parco la possibilità di programmare tempestivamente e in modo efficiente gli interventi da porre in essere.
In questo quadro, tuttavia, non ci si può limitare ad additare le norme di contabilità come le uniche responsabili di ritardi, disfunzioni o, peggio ancora, distorsioni delle risorse pubbliche. Non vanno infatti trascurati i casi, come quello - paradigmatico - dell'Ente parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, in cui le norme di contabilità sono state, nel passato anche recente, stravolte o addirittura calpestate, in nome di un efficientismo naturalistico che nulla ha a che vedere con la tutela delle aree protette, soprattutto se questo si traduce esclusivamente in un aumento esponenziale dell'organico stabile dell'Ente parco. In questi casi, sarà pertanto compito delle autorità competenti accertare le relative responsabilità e porre in essere ogni possibile misura per garantire che un prestigioso parco nazionale, come quello in questione, possa mettere a posto i propri conti e rilanciarsi, come meritano le stesse popolazioni ivi residenti, anche attraverso l'eventuale rinnovo dei vertici.
Tornando alle proposte conclusive, si rileva inoltre che, al fine di migliorare l'efficienza della programmazione, occorre che gli Enti parco si dotino in tempi congrui dei piani del parco, che costituiscono uno strumento essenziale per lo svolgimento delle attività del parco. D'altra parte, la mancata approvazione da parte delle regioni dei piani del parco già approvati dai diversi Enti parco ne paralizza in misura significativa l'attività programmatoria. È necessario quindi attivare i poteri sostitutivi previsti dalla legge n. 394 del 1991; oppure modificare tale normativa in modo da consentire agli Enti parco di dotarsi, rapidamente e senza ulteriori indugi, dei piani del parco.
L'indagine ha permesso, d'altro canto, di evidenziare che il miglioramento della capacità di spesa degli Enti parco non dipende solo da una migliore utilizzazione da parte degli Enti stessi delle risorse assegnate dal bilancio dello Stato, ma anche dalla loro capacità di sfruttare al meglio la propria capacità di autofinanziamento.
A tal fine, andrebbe maggiormente sfruttata la possibilità, offerta agli Enti dalle disposizioni di legge, di istituire filiere di produzione di prodotti tipici, cui attribuire un «logo» o un simbolo del parco.
Un punto fondamentale che è emerso dall'indagine riguarda, poi, la necessità di rendere più efficiente l'organizzazione amministrativa degli Enti parco.
In tal senso, sembra opportuno non solo affidare la gestione amministrativa a soggetti dotati di capacità manageriale, passando da una gestione per «atti» ad una «per risultati», ma anche, al fine di garantire una semplificazione dei passaggi amministrativi, valutare la possibilità di prevedere la soppressione delle comunità montane nelle aree in cui insiste un Ente parco e nelle quali, dunque, si crea spesso una sovrapposizione - anche confliggente - di competenze, specie se si considera che gli Enti parco interagiscono con le rispettive comunità, costituite dai rappresentanti di tutti i comuni compresi nel loro territorio.
Passando quindi a questioni più operative, vista anche l'importanza dell'opera svolta dal Corpo forestale dello Stato per un'efficiente gestione amministrativa dell'Ente parco, andrebbe verificata l'opportunità di un passaggio dello stesso Corpo Forestale sotto la vigilanza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, per quanto concerne, quanto meno, i CTA (Coordinamenti territoriali ambientali). Il Corpo Forestale dello Stato, infatti, sempre più si sta caratterizzando come struttura impiegata nella difesa dell'ambiente in cui esso opera, anche quando collabora con le strutture della Protezione Civile per la difesa dei boschi dagli incendi e, pertanto, anche come corpo di polizia capace di perseguire coloro che attentano all'equilibrio e alla tutela dell'ambiente montano e collinare del Paese.
Infine, come rilevato in precedenza, andrebbe valutata la possibilità di prevedere, in tutti quei casi nei quali fosse opportuno, il passaggio delle riserve naturali dal Corpo forestale agli Enti parco, in modo da sfruttare in misura più efficiente le potenzialità di tali risorse, anche a scopi di autofinanziamento parziale degli Enti stessi.
In conclusione, la VIII Commissione ritiene che il sistema dei parchi nazionali abbia in sé tutte le potenzialità per garantire un miglioramento dell'efficienza della gestione amministrativa, anche al fine di rendere gli Enti parco nazionali sempre più idonei a rispondere, da un lato, alle esigenze di tutela e salvaguardia del territorio e, dall'altro, alla valorizzazione, anche economico-produttiva, delle aree protette, nonché allo sviluppo delle popolazioni e delle comunità che insistono sul territorio.
In questo quadro, un uso più appropriato ed efficace delle risorse statali, non soltanto è possibile, ma è anche funzionale al raggiungimento dei predetti obiettivi.



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